
La rosa dei ministri è stata resa nota da poco. Personalmente, non avevo grandi aspettative, ma non immaginavo che si potesse arrivare a tanto. Leggendo i nomi dei ministri forzisti e leghisti, mi sono cadute le braccia. Questo sarebbe il capolavoro del grande stratega rignanese? Trovo una sinistra (unico modo in cui il termine può essere accostato a Renzi) analogia con la delegittimazione e il successivo defenestramento del sindaco di Roma, Marino, che aprì la strada al trionfo della Raggi, non certo un sindaco che resterà nella storia amministrativa della capitale. Anche quello fu un capolavoro tattico da nuovo Machiavelli?
Italia Viva ha aperto la crisi, ha fatto finta di trattare per salvare il governo, finché non è stato tirato fuori il nome del messia Draghi che, a questo punto, sembra la classica foglia di fico che nasconde la più bieca delle restaurazioni. D’altronde, come si può qualificare un governo con Brunetta, Gelmini, Carfagna, Garavaglia e compagnia? Per il bene del paese, ne valeva la pena? Anche i tecnici, per quel poco che ancora ne sappiamo, sembrano funzionali ad un progetto di restaurazione. A ciò si aggiunga che il tanto osannato Draghi, uomo di sicuro standing, deve ancora dimostrare di essere l’uomo giusto per risolvere i problemi del paese e non solo per fare gli interessi dei potentati finanziari.
A parte l’epilogo della disarmante lista dei ministri, altre cose mi avevano già nauseato. A cominciare dai salti carpiati da una posizione all’altra di alcuni protagonisti della vicenda. Il caso più eclatante è costituito da Salvini: da no euro e “il recovery plan è una trappola”, ad un pieno ed incondizionato appoggio al nascente governo dell’ex presidente della BCE. Al segretario della Lega è bastato sentire l’odore dei fondi europei per rimanere folgorato sulla via di Damasco insieme ai fidi Borghi e Bagnai, strenui paladini dell’Italexit. I parlamentari leghisti hanno prontamente votato un provvedimento sul revovery a Bruxelles e la richiesta di elezioni, per ristabilire la democrazia in Italia, è stata immediatamente archiviata.
Altra invereconda giravolta è stata quella di Renzi e i suoi italovivaisti. Dopo la manfrina della crisi, con le trattative farlocche per evitarla, hanno messo da parte la pretestuosa richiesta irrinunciabile del MES, scoprendo, dall’oggi al domani, che non è più così conveniente. Hanno pure rimarcato il crollo dello spread dopo l’annuncio dell’incarico a Draghi, dimenticando che si trattava di pochi basis point, nulla in confronto al sensibile abbassamento dell’indicatore dopo l’insediamento del Conte 2. Anche nei confronti dei grillini hanno piroettato dal no secco del 2018, all’accordo del 2019, alla rottura dell’alleanza a favore di questo nascente governo allargato.
Anche Grillo ha mostrato capacità acrobatiche non indifferenti, passando ad appoggiare una maggioranza insieme a testa d’asfalto. Il PD si è mantenuto coerente, perseverando nella sua insipienza, che lo ha portato a far parte della nuova maggioranza, dopo aver espresso pieno appoggio al premier Conte. Il PD è un partito senza linea politica, frutto dell’accorpamento di anime diverse, mai amalgamatesi, con alcune teste di ponte renziane rimaste, strategicamente, all’interno della sua formazione. Me lo sarei aspettato che avrebbero aderito al nuovo governo, anche a costo di perdere due valenti ministri come Gualtieri e Provenzano. Adesso mi aspetto la svolta centrista del partito, con l’abbandono di ogni residuo barlume di frammenti della sua storia e l’accantonamento di ogni ispirazione socialista. D’altra parte, anche in Europa, i partiti socialisti e laburisti si sono nettamente spostati su posizioni liberali, se non liberiste, con la conseguente perdita di centralità del lavoro a favore di finanza e profitto.
Una sintetica spiegazione di queste giravolte può essere trovata anche, oltre che nella scarsa qualità dell’odierna classe politica, nel definitivo tramonto delle ideologie, nella negazione di ogni, pur temperato, contrasto tra classi sociali. Oggi si parla, a seconda del momento o della convenienza, di conflitto tra generazioni, per nascondere quelli di classe e consentire politiche liberiste a vantaggio di pochi e a spese di chi vive del proprio lavoro o della sua piccola attività.
A me pare evidente che il nuovo governo sia il frutto di un piano messo a punto negli scorsi mesi e, alla fine realizzato, con la nascita del governo Draghi. Prima mossa è stato l’inasprimento del controllo dei media, con una serie di modifiche agli assetti proprietari e redazionali delle principali testate. È stata impressionante la potenza di fuoco celebrativa del prof. Draghi, salvifico messia che avrebbe salvato l’Italia (e salvaguardato gli interessi degli aderenti a Confindustria). Politicamente, poi, è probabile che i discorsi fatti nelle visite in carcere a Verdini e i successivi abboccamenti tra renziani, forzisti e leghisti, abbiano stabilito i termini dell’assalto al palazzo, puntualmente realizzato da Renzi, magnificato dai citati media come un genio della politica. Che poi, tutta questa genialità non la vedo, dato che il suo partito viaggia, nei sondaggi, al di sotto del 3% e che è notevolmente diffusa l’opinione che sia falso e inaffidabile (pensare alla promessa tradita dopo il referendum o chiedere a Letta per maggiori ragguagli). Bisogna solo riconoscere che questa opinione è particolarmente diffusa tra chi considerava Renzi organico al centrosinistra, non individuando la vera natura del personaggio: politico di destra con, probabilmente, l’aspirazione di appropriarsi dello spazio politico di Berlusconi, ormai al tramonto.
È forte la sensazione che tutto questo teatrino sia stato messo in piedi unicamente per spartirsi la torta dei fondi europei. Speriamo solo che non siano spesi per opere faraoniche inutili, se non dannose, per la collettività, ma molto redditizie per imprese e committenti, dimenticando le emergenze del territorio, la crisi climatica, la ricerca e la formazione. La cosa che fa rabbia è che si siano persi mesi a discutere, mentre il paese era alle prese con una catastrofica pandemia ed una conseguente, profonda, crisi economica.
Adesso il pallino è nelle mani di Draghi. Il professore ha uno standing più solido di Conte, cui riconosco, pur non essendo mai stato suo sostenitore, il merito di aver ben rappresentato il Paese in Europa e fronteggiato discretamente la pandemia (pur peccando di timidezza, per cercare di accontentare tutti quelli che lo tiravano per la giacchetta). Non bisogna dimenticare che la sanità pubblica è stata, negli ultimi lustri, terreno di saccheggio continuo ed è stata una conseguenza naturale trovarsi in ambasce di fronte ad un evento tanto catastrofico, quanto inaspettato. Mi auguro che Draghi riesca a fare meglio, anche se ho forti perplessità dovute agli interessi che lo sostengono e alla composizione di governo e maggioranza. Difficilmente troveranno risposta i reali problemi del Paese: burocrazia opprimente (se non passando ad una, altrettanto dannosa, deregulation selvaggia), lentezza della giustizia, criminalità, disoccupazione, dignità del lavoro, redistribuzione del reddito, evasione fiscale, assetto idrogeologico, valorizzazione e diffusione della cultura, recupero del patrimonio edilizio (al posto di nuove colate di cemento) e via discorrendo, visto che l’elenco, purtroppo, è lunghissimo.
L’altro aspetto, concludendo, che mi lascia scettico è questa diffusa opinione che sia necessario l’uomo solo al comando. A parte i riferimenti storici nefasti, che mostrano i danni che una soluzione di questo tipo può causare, il solo ricorso al personaggio tecnicamente valido e carismatico, non può offrire la soluzione ed assicurare buon governo. Questo ricorso, a mio parere, rivela il fallimento della classe politica, incapace di trovare sintesi e politiche necessarie a guidare un paese. Saranno geni, autori di capolavori tattici, nuovi Machiavelli, ma non saranno mai capaci di governare. E non voglio pensare agli eventuali interessi personali, più o meno leciti, che ispirano le loro macchinazioni. Spero che l’emergenza finisca presto e che si possa tornare a votare, con una legge elettorale con le preferenze, non perfetta, ma più affidabile di quella in vigore, che fa decidere alle segreterie chi ci deve rappresentare.