Visto al cinema – Il Colore della Libertà

Film del 2020, diretto da Barry Alexander Brown, storico montatore delle opere di Spike Lee, che qui svolge il ruolo di produttore esecutivo. La trama si basa sul libro di memorie di Bob Zellner, personaggio protagonista del film e attivista, da uomo bianco del sud degli USA, del movimento per i diritti civili. Siamo nei primi anni ’60 del secolo scorso, da poco Rosa Parks è stata arrestata per aver occupato un posto sul pullman riservato ai bianchi ed essersi rifiutata di liberarlo e sono in corso le manifestazioni dei Freedom Riders.

Bob è uno studente liceale di una cittadina dell’Alabama che, assieme ad un gruppo di compagni, produce una tesina sulle relazioni razziali. Ciò lo porta ad avvicinarsi alla locale comunità afroamericana e a prendere coscienza delle ingiustizie cui devono sottostare le persone di colore. Questi rapporti trovano una ferma condanna da parte della famiglia (il padre è un pastore protestante liberal, ma il nonno è un membro influente del Ku Klux Klan), della scuola e della polizia, che cerca, non riuscendoci, di arrestare Bob e i suoi compagni, rei di aver partecipato, per scopi di ricerca, ad una riunione pacifica della comunità afroamericana.

Anche la fidanzata di Bob è contraria a questa attività, perché teme le conseguenze che l’impegno potrà avere sulla carriera universitaria e lavorativa del ragazzo e, quindi, sul futuro della coppia. Difatti, lo studente, inizialmente, è restio ad impegnarsi per i diritti degli afroamericani, ma la progressiva presa di coscienza delle ingiustizie patite da questi ultimi, lo spingerà sempre più a diventare un attivista, patendo il disprezzo e le minacce della comunità di origine e, in certi frangenti, la diffidenza degli altri attivisti di colore.

Il film è ben costruito, riesce a descrivere l’atmosfera di quei tempi e di quei luoghi, non mancando di indurre momenti di indignazione per le bestialità perpetrate. C’è, però, qualcosa che non convince, manca una certa tensione e la conseguente rabbia e anche il Ku Klux Klan è ridotto a poco più che un fenomeno folcloristico. L’approccio complessivo mi è sembrato un po’ timido, con poca tensione, piatto. Un film, se vogliamo anche gradevole, che tralascia di approfondire, limitandosi alla cronaca e che, in certi momenti, scade in un'”americanata”.

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