Da chiosa nasce chiosa – 493.

La Presidente del Consiglio, nel corso di un convegno organizzato dal quotidiano La Verità, diretto da Maurizio Belpietro (lo so, l’accoppiamento tra verità e Belpietro è quantomeno bislacco), ha affermato che lei sarebbe la premier meno presente nei Tg della Rai e che Draghi e Conte avevano molto più spazio di lei. Tutto ciò per confutare l’osservazione dell’occupazione del servizio televisivo pubblico, trasformato in Tele Meloni.

Il sito Pagella Politica, utilizzando i dati dell’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca indipendente che monitora il pluralismo politico sui media, è andato a controllare, scoprendo che l’affermazione di Meloni non è esatta e che la stessa ha più visibilità degli altri sui Tg Rai. Senza contare che Draghi era un tecnico e Conte è stato più presente durante la pandemia, quando si faceva quasi una conferenza stampa sl giorno.

La Presidente del Consiglio continua, dopo aver disatteso tutte le mirabolanti promesse elettorali, a sbandierare dati inesatti, se non falsi, sui magnifici risultati della sua azione di governo, aiutata da un sistema mediatico in gran parte genuflesso. Tra le più recenti affermazioni non veritiere, quelle del debito pubblico tornato in mani italiane e la crescita record del reddito delle famiglie, smentita dai dati Ocse, oltre che non riscontrabile nella realtà. E mi vengono in mente anche la bufala dei poteri inalterati del Presidente della Repubblica, con la riforma del premierato, e il finanziamento più alto degli ultimi anni della sanità pubblica, senza considerare il rapporto con il Pil e l’inflazione.

Capisco che la propaganda in stile Istituto Luce sia nel suo dna politico, ma la cosa comincia a stufare.

Da chiosa nasce chiosa – 492.

Un cronista de Il Giornale, Pasquale Napolitano, è stato condannato a otto mesi di carcere (pena sospesa) per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Il giornalista aveva scritto, nel 2020, un articolo di dodici righe su un sito di informazioni, denunciando delle irregolarità all’interno dell’Ordine degli Avvocati di Nola e garantendo il diritto di replica. Dopo quattro anni, il giudice monocratico di Nola lo ha condannato (oltre alla detenzione, anche 6.500 euro di multa) riaccendendo il dibattito sul carcere per i giornalisti, previsto dal nostro codice penale e oggetto di una sentenza della Corte Costituzionale, che lo aveva dichiarato illegittimo, e di un pronunciamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, sul caso Sallusti, condannato anche lui a una pena detentiva poi commutata dal presidente Napolitano, aveva censurato l’Italia.

Al cronista è arrivata la solidarietà di tutte le forze politiche e la richiesta di intervento su una legislazione, retaggio del codice Rocco, che non sta in piedi. Carcere e multe salate per i giornalisti non sono certo misure degne di un paese democratico e un intervento sarebbe necessario, anche, per evitare le querele temerarie, strumento con il quale i potenti cercano di intimidire i giornalisti.

La cosa stupefacente è che, a seguito della condanna di Pasquale Napolitano, tra i tanti che si sono impegnati in dichiarazioni contro l’attacco alla libertà di stampa, troviamo parecchi esponenti della destra al governo. Tra i più accesi, il capogruppo alla Camera, Foti, che ha tuonato contro la “sinistra”, accusandola di lamentare il bavaglio governativo all’informazione e, poi, di essere silente sulla condanna del cronista de Il Giornale, perché appartenente a un’area politica diversa. Solita dichiarazione propagandistica, perché le forze  di opposizione hanno espresso la loro piena solidarietà e il centrodestra si sta opponendo a una modifica della legge che prevede il carcere per i giornalisti. Anzi, un mese fa circa, un esponente di Fratelli d’Italia aveva proposto un emendamento che innalzava la pena detentiva a quattro anni e mezzo. Forse il desiderio recondito di Foti e soci è quello di istituire il reato di critica al governo, prevedendo pene esemplari per chi se ne macchi.

Da chiosa nasce chiosa – 491.

Le notizie su Fedez imperversano sui media. In questi giorni si parla del pestaggio di un tizio, nel quale si pensa che il rapper sia implicato. Servizi su servizi, con una rilevanza pari alla guerra in Ucraina, al conflitto in Medio Oriente o allo scandalo in Liguria.

Mi chiedo che sia mai possibile, in un paese serio, che i media riportino di continuo notizie su un personaggio come Fedez. Di lui sappiamo tutto: il matrimonio, i figli, le liti con le associazioni dei consumatori, la beneficenza che fa, i dissapori familiari, culminati nella separazione. Ho visto, perfino, un servizio sulla festa per il compleanno di un figlio, che dava risalto all’espressione del rapper quando la moglie ha impedito ai figli di salutarlo. Neanche si trattasse di uno scienziato da Nobel, un eroe della patria.

I media ci rimbambiscono con il futile e il frivolo. L’importante, per loro, è che non si parli della vita reale delle persone. Potere economico e politica, trovandoci distratti e anestetizzati, ci circuiscono con il consumismo e la demagogia, per i loro, non sempre limpidi, interessi.

Da chiosa nasce chiosa – 490.

Nei giorni scorsi si è tenuto un convegno sulla riforma del premierato, organizzato dalla Fondazione De Gasperi e dalla Fondazione Craxi, cui ha partecipato la Presidente del Consiglio, Meloni. Mentre vi dico che ha fatto gli onori di casa il presidente della Fondazione De Gasperi, nientepopodimeno che, Angelino Alfano, ricordo che la Fondazione Craxi è presieduta da Margherita Boniver. Il patrocinio del convegno, mio parere personale, fa intravedere la qualità del dibattito.

Una riforma che distrugge la divisione e l’equilibrio dei poteri (quello legislativo sarà ridotto a mera ratifica dei provvedimenti dell’esecutivo; a indebolire quello giudiziario ci sta pensando Nordio con la separazione delle carriere), che quasi azzera le prerogative del Presidente della Repubblica, che introduce elementi di autoritarismo inaccettabili in un paese democratico occidentale, che instaura un assetto che nessuno stato adotta (lo aveva sperimentato Israele, ma lo aveva presto abbandonato) avrebbe meritato di essere illustrata in Parlamento, ma la premier si è voluta portare avanti con il lavoro, sperimentando l’irrilevanza delle camere. La motivazione della stabilità non regge, dato che non è detto che l’assetto auspicato da Meloni la garantisca e, in ogni caso, il gioco non vale la candela. In fondo, anche i governi di Hitler, Mussolini o Stalin erano stabili.

Per illustrare l’obbrobrio costituzionale e per dare una spruzzata di populismo, al convegno sono stati invitati insigni costituzionalisti come Pupo, Amedeo Minghi, Iva Zanicchi, Filippo Magnini e Claudia Gerini. Una situazione tragicomica, per la quale c’è il forte rischio che il Paese debba pagare un prezzo altissimo. Cerco di sdrammatizzare sentendo quello che ha detto Crozza sul convegno.

Crozza – Monologo su convegno premierato

Da chiosa nasce chiosa – 489.

L’8 maggio scorso è scomparsa Giovanna Marini, eccellente interprete e studiosa di musica popolare e a lei dedico l’appuntamento musicale di questa domenica.

So poco di Giovanna Marini, che conosco per un album pubblicato, nel 2002, con Francesco De Gregori, Il Fischio del Vapore, che racchiude alcune canzoni popolari e altri brani di cantautori, tra cui gli stessi Francesco e Giovanna, con tematiche e arrangiamenti folk. Altro motivo di notorietà della folksinger romana è la sua partecipazione, come chitarrista, arrangiatrice e cantante, a una delle più celebri canzoni del sessantotto italiano, Contessa, di Paolo Pietrangeli. Fortemente connotata politicamente, ha cantato tematiche care alla sinistra, ormai abbandonate, anche se drammaticamente attuali.

Il brano che propongo è tratto dal succitato album con De Gregori e si intitola Sento il Fischio del Vapore, canto popolare della Pianura Padana, intriso di antimilitarismo e ispirato alla spedizione italiana in Albania del 1915.

Sento il Fischio del Vapore – Giovanna Marini e Francesco De Gregori

Da chiosa nasce chiosa – 488.

Ha ragione Ritanna Armeni, quando, rispondendo alla ministra Roccella che si lamenta di essere stata censurata agli Stati Generali della Maternità, fa notare che la censura si ha quando interviene il potere e che le giovani studentesse hanno contestato, non censurato, la ministra, che, a voler ben vedere, ha tutte le occasioni che vuole, attraverso i media, di esprimere le proprie idee, in misura esponenzialmente maggiore rispetto a chi subisce i suoi provvedimenti.

Ma poi, è verosimile che, in un teatro pieno di gente ben disposta nei confronti della signora Roccella, una trentina di ragazzine, poco più  che chiassose, riesca a non farla parlare? La sensazione è che la ministra non vedesse l’ora di essere contestata per poter gridare alla censura della “sinistra”, assumendo, strumentalmente, che le trenta liceali rappresentino un’intera area politica che, in alcune sue espressioni, le ha pure manifestato una solidarietà, secondo me, esagerata. La sensazione si è rafforzata vedendo i telegiornali delle ultime ore (anche quello de La7, il cui direttore, probabilmente, cerca di promuoversi, visto che ha il contratto in scadenza), che hanno aperto diverse loro edizioni con la notizia della “censura” alla ministra, mentre infuriano i conflitti in Ucraina e Palestina e monta lo scandalo della Regione Liguria.

Concludo con un consiglio alle ragazze che hanno contestato, che andrebbe bene anche per i giovani ecologisti di Ultima Generazione: non cadete nella trappola, utilizzate strumenti di lotta che non consentano a questi fautori di regimi in salsa ungherese di fare una cosa in cui eccellono: le vittime. Con la potenza di fuoco mediatica di cui dispongono, è un attimo farvi passare dalla parte degli invasati facinorosi antidemocratici e mettere la sordina alle vostre rivendicazioni.

Da chiosa nasce chiosa – 487.

L’amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, ha annunciato l’avvio di un procedimento disciplinare contro Serena Bortone, rea di aver riportato, sui social, la storia della censura dell’intervento dello scrittore Antonio Scurati sull’antifascismo nella sua trasmissione. Probabilmente, la giornalista, ma non lo ammetteranno mai, paga anche la sua lettura, nel corso  del programma, del monologo dello scrittore ostracizzato.

La migliore risposta è stata data da Daniele Macheda, segretario del sindacato Usigrai: “Roberto Sergio, l’uomo che da dirigente Rai, direttore della radiofonia, attaccava pubblicamente sui social il Giornale Radio Rai, ora, da amministratore delegato, fustiga, a colpi di procedimenti disciplinari, chi, anche attraverso i social, difende la propria libertà e professionalità da un sistema di controllo asfissiante sul lavoro dei giornalisti della Rai”.

Di controllo asfissiante in Rai, in una misura mai vista, hanno parlato anche i rappresentanti dei giornalisti in sciopero, qualche giorno fa, e la cosa configura una vera emergenza democratica. Un servizio pubblico che si vuole ridotto a mero megafono della propaganda governativa ci  avvicina a sistemi tipo Ungheria, tanto cari a chi è al potere, dove non si accetta il dissenso e si pongono in essere atti intimidatori nei confronti di chi non si allinea.

I procedimenti disciplinari, le intimidazioni ai giornalisti in sciopero, i quarantasei minuti di diretta, su RaiNews24, per trasmettere il discorso della Presidente del Consiglio sul premierato, in piena campagna  elettorale e par condicio, con la scusa che si trattava di comunicazioni istituzionali, mortificano il ruolo della Rai e, numeri alla mano, allontanano gli inserzionisti e ne deprezzano il valore.

Da chiosa nasce chiosa – 486.

Sulle orme di Formigoni, anche Giovanni Toti viene scoperto con le mani nella marmellata. Occorrerà un po’ di tempo e aspettare la fine delle indagini e del processo, ma le notizie che trapelano fanno intravedere una situazione non semplice per il presidente della regione Liguria.

Gli alleati di Toti si sono affrettati a tirar fuori tutto il repertorio classico di queste situazioni. Illustri colleghi della sua parte politica hanno manifestato solidarietà e fiducia nella sua innocenza, minimizzato l’accaduto, ribadito il loro garantismo e tirato fuori la solita storia della giustizia a orologeria. Peccato che gli stessi principi e cautele non li usino quando si tratta di disavventure degli avversari politici  come De Caro, Emiliano o Suhamoro, peraltro neanche indagati.

Per quanto riguarda Toti, vedremo come andrà a finire. Segnalerei che, dopo Previti, Formigoni, Galan, Verdini, Cosentino, un altro cavaliere della tavola di Berlusconi conosce l’esperienza dell’arresto. Altro che rivoluzione liberale, quella del berlusconismo. Sembra più una scuola di malaffare.